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Cittadinanza in vendita (Commissione contro Malta)

IO

I “passaporti in vendita” maltesi (passaporti d’oro) erano una grande notizia un anno o due fa, ma ora sono scomparsi dal radar dell’attenzione pubblica. Tuttavia, i mulini della giustizia potrebbero macinare lentamente, ma macinano. Il caso intentato dalla Commissione contro Malta dovrebbe essere esaminato dalla CGUE entro la fine dell'anno.

Quindi, Malta offre passaporti in vendita. 1) Orrore di origine ! Ti sento tirare su col naso con disgusto e indignazione. Vendono la loro cittadinanza e, trambusto, automaticamente questi nuovi cittadini, ipso facto e ipso jure, sono cittadini europei che godono di tutti i diritti e i doveri ad essi connessi. E in effetti il ​​club di stati simili non è grande e non è particolarmente edificante e comprende potenze mondiali come Granada, St. Kitts, ma anche la Turchia – motivo in più per storcere il naso.

Ma se ci rivolgiamo ai programmi Golden Visa (Investor Residence è il tecnico capolinea qui) l'elenco è molto più ampio e rispettabile: secondo un rapporto della Commissione del 2019 2) che hanno dato il via a tutta la saga (di seguito il Rapporto), non meno di 20 Stati membri hanno sistemi di questo tipo, dove la soglia di investimento può arrivare fino a 100.000 euro. In questo caso, il club globale è molto più rispettabile e comprende, tra gli altri , Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

Non è la stessa cosa, sento dire dai miei lettori. No, non è la stessa cosa. Ma per una questione di interesse funzionale per gli altri Stati membri, piuttosto che per una reazione emotiva e viscerale alla nozione di “cittadinanza in vendita”, le differenze sono sottilissime.

Non credermi sulla parola. Scarica il rapporto della Commissione e verifica tu stesso.

È un resoconto sobrio, frutto di uno studio specifico 3) esplorare le preoccupazioni politiche derivanti dalla pratica dei passaporti d'oro e dei visti d'oro. Come vedrete tra breve, il Rapporto è interessante e rivelatore sia per ciò che contiene, sia per ciò che viene tralasciato.

In particolare, già nell’introduzione al Rapporto si sottolinea:

I programmi di cittadinanza per investitori [Golden Passport] differiscono dai programmi di residenza per investitori (“golden visa”)…. Tuttavia, i rischi inerenti a tali programmi sono simili a quelli sollevati dai programmi di cittadinanza per investitori.

E si potrebbe aggiungere che i visti d’oro sono spesso il preludio, a volte accelerato, alla naturalizzazione e alla cittadinanza.

Quali sono questi rischi? La Commissione elenca 4 rischi di questo tipo che derivano in egual misura sia dai programmi Golden Passport che Golden Visa:

  • Sicurezza – concludendo che “…[i]t è quindi importante che tutti i programmi di cittadinanza e residenza per investitori siano organizzati in modo tale da prevenire tali rischi per la sicurezza.
  • Riciclaggio di denaro – Anche in questo caso la Commissione conclude che “gli Stati membri dovrebbero anche tenere conto dei potenziali rischi di riciclaggio di denaro legati ai programmi di cittadinanza e soggiorno per investitori nelle loro valutazioni nazionali del rischio effettuate secondo le norme antiriciclaggio dell’UE e prendere in considerazione le necessarie misure attenuanti.
  • Elusione delle norme dell’UE, in particolare laddove i requisiti di licenza includono un requisito di nazionalità.
  • Evasione fiscale – collegando anche i rischi di entrambi i regimi.

Si tratta di preoccupazioni reali e serie, ben documentate (ad eccezione delle tasse) nel Rapporto e nel relativo studio. Ho definito il Rapporto “sobrio” poiché, con un’eccezione (di cui parlerò più avanti), è privo di retorica emotiva e si concentra sui rischi reali e tangibili che derivano da entrambi i tipi di schemi. Un lettore obiettivo della relazione concluderebbe facilmente che, dal punto di vista quantitativo, il rischio maggiore emergerebbe sicuramente dai 20 Stati membri che adottano il sistema Golden Visa piuttosto che dal singolo Stato membro che gestisce un sistema Golden Passport.

Il modo per affrontare questi rischi reali sarebbe quello di mettere in atto, nel diritto dell’Unione o nel quadro delle leggi e delle politiche degli Stati membri concordate di comune accordo, disposizioni specifiche, suggerite dalla relazione, per affrontare questi rischi.

E se queste misure – come garantire adeguati controlli fiscali e di sicurezza prima di concedere la residenza o la cittadinanza – fossero efficaci per i visti d’oro, lo sarebbero altrettanto per i passaporti d’oro. L’attuale nuova legge europea sull’immigrazione, che si sta facendo strada attraverso l’apposito processo, ne è un buon esempio. Prevede tra l'altro controlli di sicurezza concordati che, ad esempio, potrebbero in linea di principio essere applicati anche ai migranti con visto d'oro e passaporto d'oro.

Eppure, se si tiene traccia del seguito (dai comunicati stampa della Commissione disponibili al pubblico 4) ) risultante nel caso contro Malta, si nota con un certo stupore che praticamente tutti i riferimenti ai vari rischi menzionati nella relazione sono scomparsi.

Nel comunicato stampa della Commissione che accompagna la decisione di inviare un parere motivato a Malta, primo passo per avviare il caso, si registra un cambio di registro. Il caso contro Malta è ora inquadrato come segue:

I valori europei non sono in vendita (il corsivo nell’originale) è il titolo con cui viene spiegato il Parere Motivato nel Comunicato Stampa.

Si può considerare questo come un mero espediente retorico progettato per suscitare il sostegno pubblico alla potenziale causa legale. Ma vista la scomparsa praticamente di tutte le considerazioni funzionali elaborate nel Rapporto, e l’attenzione unica ai Golden Passports con l’esclusione dei Golden Visas che comportano rischi simili e, quantitativamente, sembrerebbero molto più gravi, si potrebbe sospettare un un programma profondo in agguato sotto la superficie. Si sente puzza di topo.

Per dirla senza mezzi termini, mi sembra (come sosterrò più avanti) che questo sia ma

  1. un grossolano tentativo da parte della Commissione di eludere le corrette procedure costituzionali e decisionali richieste dai Trattati; E
  2. ridefinire la cittadinanza europea e il suo rapporto con la cittadinanza nazionale,

nella speranza che la CGUE diventi complice di questi tentativi.

II

La logica del mercato unico è inattaccabile quando si tratta di beni. Una volta entrati nell’Unione, godono di libera circolazione tra tutti gli Stati membri. Di conseguenza, sono in vigore regimi come la tariffa esterna comune. Data la libera circolazione delle merci, gli Stati membri sono soggetti, anche se non perfettamente, ad una disciplina comune.

In linea di principio, la stessa logica del mercato unico dovrebbe applicarsi alle persone (come “fattori di produzione”) quando si tratta di cittadinanza e di ingressi in residenza permanente e di lungo periodo. Di conseguenza, la conclusione sarebbe abbastanza facile. Sarebbe certamente un’Unione [sempre più] “più stretta” se l’Unione avesse una politica migratoria comune, regole comuni per la concessione della cittadinanza e della residenza e simili.

Eppure, piaccia o no, gli Stati membri nelle successive revisioni del Trattato si sono astenuti dall’entrare “all in” in questa direzione. E perché? Gli esseri umani non sono semplicemente e nemmeno principalmente fattori di produzione che sono alla base della filosofia del mercato unico. E la questione della concessione della cittadinanza e del soggiorno di lunga durata comporta profonde questioni sociali, politiche, economiche, morali e identitarie, questioni rispetto alle quali gli Stati membri possono comprensibilmente e legittimamente avere opinioni molto diverse e di conseguenza voler riservare tali decisioni a se stessi o , come minimo, cercare di raggiungere un ampio consenso deliberativo europeo.

Ma, nello stesso Comunicato Stampa del 29 settembre 2022, troviamo anche quanto segue:

La cittadinanza europea e i diritti che conferisce sono al centro dell’UE.

Forse sarebbe un po’ più disponibile riconoscere che la cittadinanza nazionale è anche al centro dell’identità degli Stati membri e dimostrare in questo modo la consapevolezza che qui si ha a che fare con la tensione fondamentale relativa al delicato equilibrio tra Unità e Diversità. Considerata questa tensione sui fondamentali (non si tratta di valutazioni doganali contrastanti), è necessaria una maggiore cautela per quanto riguarda, sì, i valori della nostra Europa e le procedure progettate per proteggere questi valori.

Ecco un esempio lampante che illustra la sensibilità non “fattore produttivo” nei confronti di chi sarebbe invitato a vivere con noi, sia esso cittadino o residente.

In un articolo precedente ho elogiato la Germania e la formidabile Merkel per aver salvato l’onore dell’Europa di fronte alla crisi umanitaria derivante dal conflitto intra-siriano. La Germania ha accolto circa un milione di rifugiati. Non tutti gli Stati membri erano contenti (pochi, forse, erano contenti che fosse la Germania e non loro stessi). Anche in Germania non tutti erano contenti.

Tutti questi nuovi residenti legali godrebbero dei diritti Schengen e godrebbero progressivamente di tutti i diritti previsti dal diritto dell’Unione, come spiegato, senza, opportunamente, un riferimento diretto a questo evento, nella relazione della Commissione. In confronto, lo schema maltese è numericamente banale. È certo che se la mossa tedesca fosse stata governata dall’Unione, ciò non sarebbe avvenuto. Eppure per la Germania si trattava di una profonda questione identitaria, parte della loro percezione di sé come repubblica democratica del secondo dopoguerra. Si trattava di una politica che poneva, almeno in qualche modo, i valori al di sopra delle dirette considerazioni utilitaristiche. Allora, Commissione contro Germania, qualcuno?

Si potrebbe non essere contenti dell’anomalia architettonica strutturale sopra delineata. In quanto eurofilo incallito, sarei favorevole a una politica migratoria comune dell’UE; Sarei ugualmente favorevole ad un'armonizzazione concordata delle condizioni per la concessione della cittadinanza nazionale e del soggiorno di lunga durata. L’anomalia strutturale che ho evidenziato sopra è per molti versi insostenibile nel lungo periodo. E la mia logica non riguarda solo il mercato unico. Nous ne coalisons pas des États , nous unissons des hommes è un telos non guidato da considerazioni di mercato.

Ma sono altrettanto convinto sostenitore del rispetto delle corrette procedure costituzionali nel tradurre i risultati auspicabili in un diritto vincolante dell’Unione. E questo non è guidato esclusivamente da considerazioni meccaniche sullo “Stato di diritto”: la legge è la legge è la legge. È guidato, inoltre, dalla considerazione della situazione attuale della nostra Unione e dalla mia convinzione di lunga data che in sistemi politici di tipo federale “sani” (di cui l’Unione fa parte) il rispetto dei “confini giurisdizionali fondamentali” e delle procedure decisionali, anche se siano “scomodi” è importante quanto il rispetto dei diritti umani fondamentali. 5) Indubbiamente la nuova legge sull’immigrazione (che entrerà in vigore, una volta superate le fasi finali del processo, nel 2026) è un esempio di come queste questioni dovrebbero essere affrontate.

Utilizzo questo confronto tra limiti giurisdizionali e procedurali ai diritti umani con uno scopo particolare in mente. Siamo tutti a favore dei diritti umani, non è vero? Ma la vera prova dell’impegno per i diritti umani, ad esempio la libertà di espressione, non è quando siamo indignati e protestiamo contro la limitazione delle espressioni con cui siamo d’accordo. La prova del nostro impegno avviene quando siamo fortemente in disaccordo o addirittura odiamo l’espressione in questione, ma difendiamo il diritto in questione.

Ciò è particolarmente vero nel caso dei confini fondamentali in un sistema di poteri attribuiti e delegati come l’Unione. Ciò vale anche quando le procedure decisionali non ci piacciono, soprattutto quando richiedono l'unanimità. Potremmo essere ardentemente a favore di questa o quella politica, ma il rispetto dei confini fondamentali e delle garanzie procedurali fondamentali deve disciplinarci a non cedere alla tentazione se il raggiungimento di tale politica non rispetta le procedure corrette e una solida base giuridica. Se permettiamo al fine di giustificare i mezzi, potremmo vincere la battaglia a breve termine ma perdere la guerra a lungo termine e prendere in giro il nostro solenne impegno nei confronti della nostra Santissima Trinità civica: democrazia, diritti umani e stato di diritto.

Bisogna resistere all’etica istituzionale funzionale, ancora spesso rilevabile nella pratica della Commissione, quando viene articolato un desideratum politico e poi il Servizio giuridico è incaricato di trovare un modo per realizzarlo – “se c’è una volontà politica, ci sarà anche una volontà giuridica”. modo."

A mio avviso, per quanto odiosa possa sembrare l’idea di “vendere la cittadinanza”, il caso contro Malta è, come accennato in precedenza, un vergognoso esercizio di scorrimento giurisdizionale e di elusione di procedure costituzionalmente corrette. E la Commissione spera che la Corte diventi complice di ciò. Trovo che vendere questi valori costituzionali non sia meno odioso che vendere la cittadinanza. E dovrei aggiungere che è un’idea perversa considerare questa posizione come “euroscetticismo”.

È anche abbastanza chiaro (ne parleremo più avanti) il motivo per cui le considerazioni funzionali (sicurezza e tutto il resto) sono scomparse. Infatti, se queste preoccupazioni fossero la vera motivazione alla base del caso, la strada corretta sarebbe quella di mettere in atto una serie di garanzie procedurali radicate in procedure decisionali adeguate. E che ciò varrebbe sia per i Golden Passport che per i Golden Visa che, come spiega il Rapporto della Commissione, presentano rischi simili e quantitativamente più gravi.

La chiave del caso si trova in una sezione anomala sepolta nel Rapporto. Dico anomalo poiché è l'unica sezione che, ad una lettura attenta, si discosta dal tenore sobrio e funzionale del resto. Vale la pena leggerlo con attenzione.

La sezione 2.4 della Relazione sui programmi di cittadinanza degli investitori e il diritto dell’UE inizia così:

In linea con i trattati, chiunque acquisisca la cittadinanza di uno Stato membro è cittadino dell'Unione. La cittadinanza dell'Unione è destinata a diventare lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri.

La logica di questa affermazione sembra essere la seguente: se esiste una tensione, o addirittura un conflitto tra le prerogative costituzionali degli Stati membri in materia di nazionalità e cittadinanza e le prerogative di cittadinanza dell'Unione europea, poiché, "in linea con i Trattati “La cittadinanza dell'Unione è destinata ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri” l'interesse europeo dovrebbe prevalere sulle prerogative degli Stati membri.

E, basandomi nel Rapporto su quella che considero una lettura tendenziosa di Nottebohm 6) , concedendo la naturalizzazione senza un legame reale con il paese in questione, (supponendo che questo sia ciò che il sistema di Malta consente) costituzioni, di per sé, una violazione dei Trattati – la Costituzione dell’Europa. 7)

Sì, tranne il no.

“In linea con i Trattati” esordisce la dichiarazione della Commissione. Data la solennità e la gravità dell'affermazione (il nostro destino, nientemeno!) si perdonerebbe il lettore innocente se pensasse che “la cittadinanza dell'Unione è destinata ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri” è in realtà si trovano nei trattati, come suggerisce la dichiarazione della Commissione. Non è.

Questa formula deve valere come uno dei dicta più infelici della Corte a partire da Grzelszyk 8) e seguito in tutti gli altri casi di cittadinanza. 9) Non importa quante volte ciò possa essere ripetuto, ciò non gli conferisce alcuna credibilità epistemica. La Corte non ha mai spiegato come sia giunta a tale conclusione. Si tratta infatti di pura invenzione giudiziaria nata ex nihilo .

In termini di testo, storia legislativa e Telos del progetto di integrazione, si può dire al meglio che si tratta di una lettura dei Trattati insuperabile.

Testo : Sebbene la Commissione, citando l'articolo 20, paragrafo 1, affermi "[in] linea con i trattati", opportunamente, o astutamente (a voi la scelta) ha omesso la seconda frase dell'articolo 20, paragrafo 1, TFUE.

La cittadinanza dell’Unione dovrà aggiungersi e non sostituire la cittadinanza nazionale, il che, per usare un eufemismo, conferisce alla clausola un sapore un po’ diverso da come la Commissione vorrebbe farci credere e, a mio avviso, contraddice la retorica dello “status fondamentale” .

Storia legislativa : Destinato da chi? Certamente non da parte degli Stati membri che hanno redatto la clausola di cittadinanza nei Trattati. In realtà, la loro intenzione sembrerebbe essere esattamente l’opposto. Nel Trattato di Maastricht originale si leggeva semplicemente: “È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. Gli Stati membri erano chiaramente insoddisfatti di questa formulazione e ad Amsterdam e Nizza hanno introdotto un emendamento significativo: la cittadinanza dell'Unione dovrà integrare e non sostituire la cittadinanza nazionale.

E, come visto, l’articolo 20 del TFUE ha finalmente stabilito che la cittadinanza dell’Unione sia aggiuntiva. L'introduzione di queste clausole limitative che modificano la formulazione originaria di Maastricht indica sicuramente una lettura restrittiva piuttosto che espansiva della clausola. Riuscireste ad immaginare la famosa formula “destinato allo status fondamentale” approvata dalla CIG se qualcuno osasse metterla sul tavolo?

Semmai, questa storia indica che una lettura ermeneutica rispettabile suggerirebbe che la cittadinanza nazionale è destinata a restare lo status fondamentale dei cittadini dell'Unione.

Telos : L’idea che la cittadinanza europea debba diventare lo status fondamentale è una versione europea del telos americano – e pluribus unum , e si rifà a coloro che sognavano e alcuni sognano ancora gli Stati Uniti d’Europa. L’originalità della costruzione europea, il suo carattere distintivo e la sua genialità si riflettono nel rifiuto di quel telos e nella sua sostituzione con un’Unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa. Popoli, non destinati ad essere un popolo solo. Questa è una storia molto più originale, anche se impegnativa. La concessione della cittadinanza europea (con il suo insieme piuttosto limitato di diritti enumerati nella clausola, alcuni dei quali antecedenti alla clausola sulla cittadinanza) è benvenuta purché non venga disturbato il delicato equilibrio tra i due senza una chiara autorità dello Stato membro.

Per quanto frustrante possa apparire ad alcuni, l’articolo 20 (opportunamente citato) difficilmente sembra una solida base giuridica per un caso che mette in tensione l’autonomia che gli Stati membri si sono guardati bene dal delegare espressamente all’Unione e ad un’Unione auspicata. politica.

E così, questa base giuridica traballante è rafforzata dal riferimento all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, il principio di leale cooperazione su cui sembra basarsi il caso della Commissione. Si tratta davvero di raschiare il fondo del barile legale. Anche qui, opportunamente, la Commissione omette di menzionare la clausola dell’articolo 4 TUE che precede il punto 4.3:

4.2. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati nonché la loro identità nazionale, inerente alle loro strutture fondamentali, politiche e costituzionali, comprese le autonomie regionali e locali. Rispetterà le loro funzioni statali essenziali, compresa la garanzia dell'integrità territoriale dello Stato, il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.

4.3. Secondo il principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si prestano assistenza reciproca, nel pieno rispetto reciproco, nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.

Sicuramente l’Articolo 4.3 dovrebbe essere letto alla luce dell’Articolo 4.2. Come accennato, la Commissione, questa volta con integrità, ha menzionato come prima preoccupazione riguardo ai passaporti e ai visti d'oro, la questione della sicurezza. Non c'è da stupirsi che sia scomparso tra il Rapporto e il caso, visto che il Trattato è così enfatico riguardo alla responsabilità esclusiva di ciò.

E confrontare il linguaggio del punto 4.2, con il suo riferimento alle identità nazionali, alle strutture fondamentali – politiche e costituzionali – e tutto il resto, con il linguaggio del punto 4.3 che parla degli Stati membri che aiutano l’Unione e tra di loro, nel pieno rispetto reciproco nel portare avanti compiti derivanti dal trattato. La Commissione, forse vale la pena ricordare ad alcuni mandarini europei, non è sinonimo di “Unione”.

Res Ipsa Loquitur .

Immaginiamo che la Commissione avanzi una proposta per armonizzare i requisiti per la concessione della nazionalità e della residenza degli Stati membri. Quando si tratta di votare non raggiunge la maggioranza richiesta. Forse uno Stato membro ha posto il veto. Sarebbe certamente impossibile che la Commissione intentasse un ricorso contro uno Stato membro in quanto, votando contro la proposta della Commissione, avrebbe violato il principio di leale cooperazione ex articolo 4.3. Potrebbero aggirare questa difficoltà semplicemente non presentando una proposta e non portandola ai voti?

Non solo, a quanto pare, la Commissione, nel fissare norme per la concessione della cittadinanza da parte degli Stati membri, utilizza l’articolo 4.3 come un modo per eludere procedure decisionali adeguate, ma allo stesso tempo sta pervertendo quella che considererei la vera significato dello stesso articolo 4.3.

Ancora una volta, non commettere errori. Vi sono tutte le ragioni perché l'Unione si preoccupi dei vari pericoli enunciati nella relazione e che derivano dall'anomalia strutturale di fondo nell'architettura costituzionale sopra menzionata. Ma l’unico modo per affrontare correttamente le conseguenze di questa anomalia, se non mediante una modifica del Trattato, sarebbe attraverso adeguate procedure legislative e amministrative dell’Unione o mediante una procedura opportunamente concordata tra gli Stati membri nello spirito di leale cooperazione ex Art. 4.3.

In questo caso non è così e la Corte non dovrebbe essere invitata ad agire come se lo fosse.

Se l’articolo 4.3 venisse interpretato come sostiene la Commissione in questo caso, ciò darebbe loro un visto d’oro per evitare i valori sanciti dalle procedure costituzionali e ottenere risultati attraverso un decreto giudiziario.

III

Vale anche la pena considerare in modo un po’ più approfondito la questione della “connessione autentica”. Ciò non vuol dire negare che tali questioni potrebbero potenzialmente essere motivo di preoccupazione e persino una norma europea comune, ma sono molto più complesse di quanto sembri e non dovrebbero essere risolte da una semplicistica e categorica regola in bianco e nero, come la Commissione invita al Tribunale da fare.

Innanzitutto, se vuoi dare un'occhiata, molti dei nostri Stati membri prevedono disposizioni per la concessione della nazionalità, ad esempio, ad artisti illustri o calciatori (!), che sono piuttosto permissive riguardo al legame autentico, qualcosa appena menzionato nella relazione. Perché complicare il dossier?

Si potrebbero forse liquidare questi casi come de minimis. Consideriamo quindi le decine di migliaia, se non centinaia di migliaia di cittadini dell’Unione che sono emigrati e hanno costruito la loro vita in altri paesi: Canada, Australia, Stati Uniti e altrove. Vi è quindi un gran numero di figli e figlie nati in quei paesi che, in virtù delle disposizioni prevalenti sullo jus sanguinis nella maggior parte delle costituzioni, sono cittadini degli Stati membri. A volte lo Stato membro originario ha norme sulla nazionalità piuttosto liberali che potrebbero andare anche oltre i figli e le figlie. Un paese come l’Irlanda, e non solo, valorizza legittimamente questa importante comprensione di sé. Eppure, questi figli e figlie o nipoti e nipoti, o pronipoti e nipoti, godono automaticamente di tutti i diritti menzionati nella relazione e nel parere motivato (e comportano gli stessi rischi) anche se non hanno mai messo piede nel territorio dell'Unione e non parlano la lingua della loro nazionalità europea. Non convinto? Rileggi il caso Collins , che ne è un vivido promemoria. 10)Senza alcun senso di immaginazione si può considerare che i Collins del mondo abbiano un “legame autentico” nel senso delineato nel Rapporto alla nazione dei loro antenati.

La nostra reazione istintiva è, forse giustamente, che non è proprio la stessa cosa. Non è. Ma dal punto di vista delle preoccupazioni politiche (sicurezza, riciclaggio di denaro, ecc.) non è poi così diverso. E, dopotutto, è proprio la dimensione funzionale che giustificherebbe l’ingerenza dell’Unione in un ambito tradizionalmente riservato agli Stati membri. Quindi, la prossima volta Commissione contro Irlanda? O Commissione/Germania (con le sue norme sulla nazionalità riguardanti le minoranze storiche)?

Non leggere in questi due esempi più di quanto sto cercando di sostenere. Sto semplicemente dicendo che le questioni sono complesse e implicano un'ampia gamma di dettagli che richiederebbero una seria riflessione e non dovrebbero essere nascosti da una procedura giudiziaria che eviti tutte queste complessità. Non spetta solo alla Commissione affrontare queste complessità e, rispettosamente, nemmeno alla Corte. Se ci devono essere norme dell’Unione che fissino le condizioni per la concessione della cittadinanza o della residenza, queste delicate questioni politiche dovrebbero essere approfondite e risolte attraverso le opportune procedure politiche democratiche, per quanto scomodo ciò possa risultare.

IV

Allora cosa c'è dietro questa mossa della Commissione? Si può solo speculare. Ecco allora alcune speculazioni.

Tendiamo a parlare di “Commissione”, “Corte”, “Parlamento” ecc. Reifichiamo queste istituzioni e dimentichiamo che sono fatte di esseri umani, in carne ed ossa, come te e me, con tutte le virtù e i vizi che venire con la condizione umana. 11)Una volta de-reificati, la spiegazione potrebbe ridursi all’orgoglio personale, all’imbarazzo per l’incapacità di avere un piano d’azione significativo per affrontare il problema reale derivante dall’anomalia strutturale o, forse, alla frustrazione per il processo decennale della riforma. Legge sull'immigrazione? Tutti peccati perdonabili ma non una licenza per una tomba così costituzionale.

Ma potrebbe esserci di più. Nella decisione del 22 settembre di deferire Malta alla Corte troviamo nel comunicato stampa la seguente enigmatica dichiarazione:

Da un lato scrivono (riferendosi ai Passaporti d’Oro):

Questi programmi sono diversi dai programmi di residenza per investitori (o “visti d’oro”)…

Ebbene sì, in faccia sono diversi, ma il comunicato aggiunge subito :

Entrambi i tipi di sistemi comportano seri rischi, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e la corruzione.

Allora perché puntare solo su Malta e non puntare sui circa 20 Stati membri, dove, dal punto di vista quantitativo, risiedono i rischi reali e gravi? Ebbene, affrontare 20 Stati membri che hanno versioni diverse di visti d’oro che comportano tali rischi è un po’ più difficile che affrontare Super Power Malta.

C’è anche una questione di proporzionalità. Se la preoccupazione della Commissione riguardasse davvero i quattro rischi, non sarebbe sufficiente, ad esempio, sottoporre i destinatari del Golden Visa e del Golden Passport allo stesso tipo di controlli che, secondo la nuova legge sull’immigrazione, sono previsti per altre forme di migrazione? Questo approccio più restrittivo non sarebbe più rispettoso della corretta interpretazione del Trattato in questo settore costituzionalmente delicato? Fare lo stretto necessario per far fronte ai problemi funzionali e non altro?

Prendere la strada legislativa adeguata, con le sue garanzie istituzionali e democratiche, non è facile. Si tratterebbe probabilmente dell'articolo 308 con il requisito dell'unanimità ed eventualmente di un accordo degli Stati membri al di fuori del quadro dei Trattati, come è avvenuto in altri casi. Ciò è scoraggiante ed è meno probabile che la Commissione ottenga tutto ciò che vuole. La nuova legge sull’immigrazione è in lavorazione da dieci anni. Non sarebbe meraviglioso, quindi, se si potesse ottenere una sentenza dalla Corte che farebbe saltare l’articolo 4.3 TUE e consentirebbe così alla Commissione di imporre il proprio punto di vista su ciò che è accettabile e ciò che non è accettabile senza il grattacapo dell’articolo 308 e tutto il resto il riposo? Se si volesse estendere il significato dell’articolo 4, paragrafo 3, non si sarebbe potuto scegliere un caso migliore a causa del fascino emotivo che non riguarda più i vari rischi reali ma “i valori europei non sono in vendita”.

I funzionari della Commissione dovrebbero rimettere sullo scaffale la loro copia della Repubblica di Platone. La democrazia costituzionale non riguarda i re filosofi che sanno meglio cosa è bene per noi. La democrazia costituzionale non è mai facile, richiede pazienza, richiede compromessi ma anch’essa “si trova al centro dell’UE”.

Sappiamo tutti che il tema dei limiti giurisdizionali e delle procedure adeguate – intra vires-ultra vires – è diventato un parafulmine nell’attuale congiuntura socio-politica dell’Unione e non poche giurisdizioni nazionali hanno lanciato segnali in tal senso negli ultimi anni . Ho il sospetto che sia troppo tardi perché la Commissione si ritiri da questa mossa. In effetti, mi aspetto che si scaglieranno. Ma ecco un’occasione d’oro per la Corte, in un caso ad alta visibilità, per affermare la propria autorità, e per essere vista come tale, come un efficace custode dei valori profondi inerente ai limiti giurisdizionali e alle procedure costituzionali.

Riferimenti

Riferimenti
1 Cittadinanza tramite investimento, CBI, è il termine tecnico.
2 COM(2019) 12 definitivo.
3 Vedere fn 4 id.
4 Non ho accesso ai documenti ufficiali del caso.
5 Diritti fondamentali e confini fondamentali: norme e valori nella protezione dei diritti umani, in L'Unione europea e i diritti umani (N. Neuwahl e A. Rosas eds., Kluwer, L'Aia/Boston, 1995).
6 Ma questo per un post a parte.
7 Spetterebbe, ovviamente, alla Commissione e alla Corte (se segue la Commissione) decidere quale sia un legame reale piuttosto che agli Stati membri.
8 Causa C-184/99. Sentenza della Corte del 20 settembre 2001.
9 Dico dictum perché in realtà non era strettamente necessario per decidere i casi. Formalmente, direi, mantiene il suo status di obiter dictum.
10 C-132/02 Colins c. Segretario di Stato per il Lavoro e le Pensioni.
11 In questo contesto vale la pena leggere Derk-Jan Eppink, divertente e illuminante Life of a European Mandarin (2007).


Questa è la traduzione automatica di un articolo pubblicato su Verfassungsblog all’URL https://verfassungsblog.de/citizenship-for-sale/ in data Sun, 14 Apr 2024 06:00:36 +0000.