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Tutto deve rimanere così com’è così tutto può cambiare

Il mandato del presidente italiano Sergio Mattarella e del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier scadrà entro poche settimane l'uno dall'altro (3 febbraio, 18 marzo 2022).

Allo stesso momento costituzionale (il secondo dopoguerra) appartengono le costituzioni italiana e tedesca, entrambe segnate dalla volontà di ripudiare il passato totalitario, entrambe prevedono regimi parlamentari. Non sorprende, quindi, che gli articoli 54-61 GG e gli articoli 83-91 It. Cost. delineare due presidenti che sono essenzialmente gemelli. Ci sono differenze, ma la descrizione generale che il sito del Presidente Federale offre del ruolo del Presidente nella Repubblica Federale, usa le stesse parole che usano i libri di testo italiani per il Presidente della Repubblica Italiana: «In qualità di Capo di Stato, il Presidente Federale è ai fini del protocollo l'uomo più importante della Germania. È l'organo costituzionale che rappresenta la Repubblica federale di Germania sia in patria che all'estero. Nelle sue azioni e nelle sue apparizioni pubbliche, il Presidente federale rende visibile lo Stato stesso – la sua esistenza, la sua legittimità, la sua unità -. Ciò comporta al tempo stesso un ruolo integrativo e la funzione di controllo del rispetto della legge e della costituzione. Esiste anche una funzione di riserva politica per i tempi di crisi del sistema di governo parlamentare” (vedi www.bundespraesident.de).

Eppure i due paesi non potrebbero vivere le due scadenze in modo più diverso. In Germania, dove è prevista la rielezione (in quattro occasioni il presidente è stato rieletto: T. Heuss, H. Lübke, R. von Weizsäcker, H. Köhler), il presidente Steinmeier lo ha già reso noto alla fine del Maggio 2021 che era preparato per la conferma. La sua rielezione al primo turno è certa dopo che i tre partiti della coalizione semaforica e l'opposizione CDU/CSU hanno già annunciato che voteranno per lui.

Uno psicodramma collettivo

In Italia, invece, da mesi va avanti una sorta di psicodramma collettivo, nel corso del quale si parla di tutto e di tutto su ogni possibile aspetto dell'elezione del nuovo presidente. Anche la stampa internazionale ha dedicato una certa attenzione alla questione. Questo è comprensibile: se gli italiani sono così agitati, ci deve essere un motivo; e del resto, il destino della terza economia dell'UE, per il cui rilancio sono state stanziate ingenti risorse comuni, preoccupazioni di tutti i paesi dell'Unione, e di chiunque abbia a cuore la stabilità del continente.

Il motivo è semplice: quella "funzione di riserva politica per i tempi di crisi" di cui parla il sito web del presidente tedesco, in Italia è stata esercitata negli ultimi trent'anni con tale frequenza da aver esaltato il ruolo di Presidente della Repubblica ben al di là della lettera della Costituzione e delle aspettative di chi l'ha scritta. È vero che i poteri giuridici del presidente italiano non sono trascurabili, né quelli del presidente tedesco; e che il presidente italiano, inoltre, presiede il Consiglio supremo della difesa (dove viene informato dal governo delle loro decisioni in materia) e anche il Consiglio superiore della magistratura (che si occupa delle carriere dei magistrati) . Ma come in Germania tutti gli atti del presidente italiano sono nulli se non controfirmati (art. 89 Cost. it.), senza eccezioni (mentre la Legge fondamentale stabilisce che nessuna controfirma è richiesta al presidente federale per esercitare i suoi poteri politici più significativi: nomina e revoca del cancelliere; scioglimento del Bundestag, articolo 58 GG).

Il punto è che di fronte alle tradizionali ricostruzioni della dottrina costituzionalista che da decenni definiscono “ambigua” la figura del presidente italiano (“ibridazione di modelli diversi”, “figura dai tanti volti che gioca un ruolo variabile”, “ un enigmatico mosaico di poteri non omogenei", "figura che oscilla tra natura di organo di garanzia e natura di organo di governo", "camaleonte"), gli ultimi decenni hanno cambiato le carte in tavola: in 1993, il Presidente Scalfaro nomina un governo guidato da un apolitico, il Governatore della Banca d'Italia Ciampi; nel 1995 Scalfaro nomina il primo gabinetto interamente composto da non parlamentari (il governo Dini); nel 2011 il presidente Napolitano ha nominato il governo Monti (formato anche da non parlamentari); e infine, un anno fa, il presidente Mattarella ha nominato un governo guidato dall'ex presidente della Bce Mario Draghi scelto senza tener conto di alcuna indicazione di partito.

Richieste nuove definizioni

Questo spiega la necessità di cercare nuove definizioni della figura presidenziale in Italia e l'idea che ci troviamo di fronte a una sorta di "guardiano" ("la tata d'Italia" nella beffarda definizione di "Economista") che il politico-istituzionale italiano sistema non può più fare a meno. Philippe Lauvaux nel suo "Les grandes démocraties contemporaines" (ora con Armel Le Divellec, Paris, Puf, ed. 2015) definisce l'Italia un  "regime parlamentare sottoposto a riparazione presidenziale". gli altri sentono  che la recente prassi presidenziale ha dato origine a una sorta di "semi-presidenzialismo de facto ". Di conseguenza, politici, studiosi e cittadini si dividono tra coloro che ritengono che questa sia un'evoluzione patologica da invertire il prima possibile (ma non si sa come), coloro che ritengono che sia – al contrario – un evoluzione da legittimare introducendo l'elezione diretta del presidente, coloro che credono che sia un'evoluzione che può essere superata solo rafforzando efficacemente il ruolo del presidente del Consiglio, e infine coloro che credono che tutto sommato il sistema in atto funzioni perché un governo debole, per evitare rischi autoritari, è una buona cosa.

Così, un sistema politico che da anni non è in grado di dar vita a governi stabili e che sembra essere in perenne evoluzione, finisce per pensare che molto (se non tutto) possa dipendere da chi ne sarà il custode. L'elezione del presidente è sempre più sentita come una decisione in grado di influenzare i destini dei singoli e dei partiti: da qui lo stato di fibrillazione alla vigilia dell'elezione del nuovo presidente, che avviene questa volta a un anno dalla scadenza della legislatura. Pertanto, per mesi non si parla d'altro e quindi tutti (opinion leader compresi, con rare eccezioni) hanno sollevato questioni e offerto valutazioni raramente disinteressate. I partiti, dal canto loro, esitano a svelare le loro carte e rinviano di giorno in giorno l'accordo che la Costituzione suggerisce, soprattutto se si considerano gli equilibri parlamentari di questa legislatura. A differenza della Germania, un presidente non può essere eletto a maggioranza relativa: è richiesto il quorum di almeno la metà più uno dei componenti (2/3 nei primi tre voti).

Tutti vanno sul sicuro

I 1009 aventi diritto al voto (951 parlamentari e 58 delegati regionali) possono essere così ripartiti: partiti di destra (Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia et al.) circa 420-425; i partiti di sinistra (Partito Democratico, Five Stars et al.) più o meno gli stessi; partiti centristi circa 90; Parlamentari che hanno abbandonato il loro partito (per lo più ex Cinque Stelle), circa 70. Poiché servono almeno 505 voti, il buon senso suggerisce che un accordo, almeno tra i partiti che sostengono il governo Draghi, sia l'unico modo ragionevole. A maggior ragione se si tiene conto che il COVID potrebbe impedire a un certo numero di elettori di votare (quanti? di quali partiti? oggi gli impossibilitati a partecipare sarebbero 44) a patto che i presidenti delle due Camere non lo facciano consentire il voto a distanza (cosa che sembra irrazionale per un collegio che, come in Germania, non discute ed è solo un seggio elettorale).

Ad oggi, questo non è il caso. Tutti vanno sul sicuro. Oppure propongono o consentono candidature fatte per dividere (o guadagnare tempo), come quella dell'ex presidente del Consiglio Berlusconi, che non riesce a unificare veramente la destra, oltraggia (e pour cause ) l'altra metà del Paese, e può solo portare a un tiro alla fune. Viste le regole elettorali, infatti, le votazioni potrebbero durare all'infinito: ci sono stati, negli anni passati, presidenti eletti solo dopo 23 e 21 seggi. Ciò sembra inaccettabile oggi (e farebbe rivivere la proposta di elezione diretta) e potrebbe produrre esiti imprevedibili. Anche se la storia insegna che i candidati buoni ea volte eccellenti sono stati eletti con pochissimi voti (la prima elezione di Giorgio Napolitano è avvenuta con soli 543 voti; quella di Leone con 518), l'ultima cosa di cui l'Italia ha bisogno in questo momento è un Capo dello Stato scelto da un partigiano e maggioranza casuale.

L'intera vicenda è complicata dal fatto che il candidato informale più autorevole, con la sola eccezione del presidente uscente Mattarella, è il presidente del Consiglio dei ministri, Draghi. Paradossalmente, il fatto stesso di essere un premier di statura presidenziale al di sopra dei partiti lo rende, al di là del prestigio personale, il candidato perfetto. Tuttavia sono in molti a chiedersi se il Paese abbia più bisogno di lui nel suo ruolo attuale (anche se solo per un anno o giù di lì) che in quello presidenziale (fino al 2029). È una scelta dura resa più difficile dalla considerazione che nessuno può dire cosa accadrebbe al governo una volta eletto Capo dello Stato Draghi. I partiti che oggi lo sostengono sosterrebbero lealmente un altro Primo Ministro l'anno prima delle prossime elezioni? Forse, ma ciò richiederebbe quella comprensione trasparente e pubblica di cui le forze politiche si sono finora mostrate incapaci.

Il problema è tutto qui: non negli esercizi di alcuni costituzionalisti sui tempi e modi del passaggio dei poteri in caso di elezione, per la prima volta, di un Presidente del Consiglio in carica (anche in Italia la presidenza è incompatibile con qualsiasi altra carica: quindi Draghi dovrebbe dimettersi nelle mani del predecessore negli ultimi giorni del suo mandato, per poi entrare in carica per formare immediatamente un nuovo governo, processo che comporta alcuni intrecci legali).

Non stupirebbe, quindi, se, per salvare il precario equilibrio stabilito un anno fa, una larga maggioranza concorderebbe sulla rielezione di Mattarella, che difficilmente potrebbe dire di no: anche se ha più volte affermato di ritenere una rielezione inopportuna, dichiarandosi favorevole alla modifica della costituzione per vietare la rielezione e abolire il divieto di scioglimento del Parlamento negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale. Con Mattarella l'Italia guadagnerebbe un altro anno di preziosa stabilità e buon governo, oltre a confermarsi un ottimo presidente.

Certo: stabilità concessa solo fino alle elezioni del 2023. Ma finché l'Italia non avrà fatto i conti con la sua forma di governo, le sue istituzioni politiche continueranno ad essere sempre in bilico, sempre bisognose di guardiani interni ed europei, sempre sull'orlo di periodiche esaurimenti nervosi.


Questa è la traduzione automatica di un articolo pubblicato su Verfassungsblog all’URL https://verfassungsblog.de/all-needs-to-stay-as-it-is-so-all-can-change/ in data Sun, 16 Jan 2022 15:18:06 +0000.